Affermare il valore della comunicazione significa anche saper ribattere ai tanti, troppi luoghi comuni che affliggono la pubblica amministrazione in generale e la comunicazione pubblica in particolare.
Adesso qualcuno cercherà di convincerci che una delle inevitabili conseguenze di ogni crisi economica debba essere l’automatica riduzione delle attività di informazione e di comunicazione nell’intera pubblica amministrazione.
Ma siamo davvero sicuri che sia così?
Non lo è certamente per il settore privato che, al contrario, proprio in simili momenti aumenta i propri investimenti e i propri sforzi comunicativi.
Perché allora dovrebbe essere diverso per le amministrazioni pubbliche i cui servizi, molto spesso, sono più utili e indispensabili di tanti prodotti commerciali?
Ci si può tranquillamente fare la doccia anche se non si conosce l’ultimo ritrovato tecnologico in quel settore ma è molto difficile accedere ad un servizio pubblico quando non si posseggono tutte le informazioni che lo rendono fruibile.
Ma allora la differenza si riduce solo a questo?
Se volessimo essere sintetici (una delle prime e meno praticate qualità professionali di ogni comunicatore pubblico) potremmo indicare il tutto in pochissime parole. Quando si tagliano i servizi e si contraggono i consumi, il privato ma anche il pubblico dovrebbero affidarsi a processi riorganizzativi e alla qualità del prodotto.
Ma queste parole suonano diverse a seconda di dove vengono pronunciate.
Nel privato riorganizzazione fa troppo spesso rima con licenziamento e qualità significa, molte volte, diversificare aspetti marginali di un prodotto.
Nel pubblico riorganizzazione vuol dire semplificazione e lotta agli sprechi mentre qualità significa risposta equilibrata tra richiesta e valore del servizio.
Pubblico e privato necessitano quindi non di una comunicazione qualsiasi ma di una comunicazione sempre più specifica: credibile la prima e convincente la seconda.
E’ qui, con buona pace dei teorici del “ tutti fanno tutto”, che le due forme di comunicazione cambiano. Non negli strumenti che quelli sono e quelli rimangono ma nella strategia e negli obiettivi.
Ignorare tutto ciò resta e resterà un grave limite per chi da sempre si batte perché la comunicazione pubblica sia davvero un servizio per tutti e non una insopportabile miscela propagandistica con un inaccettabile retrogusto di autoreferenzialità.
Silenzio: c'è la crisi
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