Ruoli che, da una parte sono condizionati dalla politica e dalla ricerca sfrenata del consenso personale, dall'altra vengono ritenuti utili solo nella fase terminale dei processi. Esclusi, quindi, dalle cabine di regia dove si assumono le scelte strategiche.
Negli ultimi anni, sono stati molti i tavoli di lavoro istituiti per avanzare proposte di modifica alla legge quadro del 2000.
Richieste scaturite anche dallo sviluppo dei social network, nella convinzione che le piattaforme non siano uno strumento, ma la causa di un vero e proprio cambio di paradigma complessivo della relazione tra P.A. e cittadino.
Non c'è dubbio che Facebook, Instagram, YouTube, LinkedIN e le altre piattaforme abbiamo inciso profondamente nel rapporto tra chi amministra la cosa pubblica e il cittadino. Al punto, però, da dover modificare l'impianto della Legge 150?
La norma, laddove applicata, rappresenta una garanzia sia per chi lavora nelle strutture di comunicazione della P.A. sia per i cittadini, perché le figure chiave (responsabili degli uffici) devono avere specifiche competenze.
La 150, nonostante l'importante sviluppo digitale, è stata il risultato di un lungo processo e ha consentito di mettere dei punti fermi, che oggi traballano sia per l'insicurezza di alcuni di coloro che svolgono attività di informazione e di comunicazione nella P.A. sia della politica e di meccanismi burocratici che privilegiano in modo ingiustificato la figura del portavoce.
Cosa fare allora? Forse sarebbe utile ripartire dalle basi, dai principi di una buona informazione e una buona comunicazione. Processo possibile solo se si ragiona prima di tutto sui contenuti e, quindi, sulla preparazione dei giovani nelle università e di chi opera già da tempo nel sistema P.A.. Solo in parallelo è utile e funzionale pensare agli strumenti. E le piattaforme social sono strumenti.
Claudio Trementozzi