Il 25 marzo scorso, l’Ordine dei giornalisti ha approvato la “Carta dei doveri del giornalista degli Uffici Stampa” (www.odg.it). Il documento si apre con questa fondamentale premessa: “sono esclusi dall’attività di Ufficio Stampa differenti aspetti della comunicazione come le relazioni pubbliche, le relazioni con i cittadini, il marketing, la pubblicità. Anche la figura del ‘portavoce’ non rientra nel campo dell’informazione giornalistica e non è quindi compresa nella definizione di Ufficio Stampa”.
Si tratta, per chi è attento a quanto si muove nell’universo comunicazionale, di un importante affermazione nel tentativo, avviato con la legge 150 del 2000, di sistematizzare il caos che troppo speso accompagna le attività di informazione e di comunicazione.
La Carta dei doveri pone un punto fermo su di una questione che riguarda anche i comunicatori pubblici i quali hanno già dato, per quanto li compete, una prima risposta con l’adozione del proprio codice professionale.
Adesso, per quanto ci riguarda, risulterà più chiaro il senso di quell’apparente, incomprensibile ostracismo che da dieci anni tiene pressoché al palo di partenza una normativa che tutta Europa studia e analizza con grande interesse.
Dopo i comunicatori pubblici anche i giornalisti degli uffici stampa hanno definito le loro funzioni, le loro strategie e i loro obiettivi.
Così come auspicavano i padri della 150, gli onorevoli Antonio Di Bisceglie e Franco Frattini, la terra sconosciuta che si chiama comunicazione pubblica comincia a prendere forma nelle strutture, nei compiti, nelle professioni.
Altro che il “liberi tutti” che qualcuno continua ad auspicare.
Senza una organizzazione certa, senza una riconosciuta professionalità, senza stabilire chi fa che cosa, diventa impossibile chiedere agli amministratori e ai sindacati di agire secondo i principi della nuova normativa.
Se a tutto questo aggiungiamo che l’Ordine dei giornalisti sta elaborando un testo unico nel tentativo di rimettere al centro dell’informazione giornalistica la deontologia professionale e di creare un nuovo rapporto fiduciario tra chi informa e chi è informato, risulta ancora più evidente la sfida che ci sta di fronte: non è più sufficiente parlare d’informazione con le idee del passato ma occorre attivare una nuova responsabilità sociale nei confronti dei cittadini e della democrazia.
Questa è la linea di onestà intellettuale e di coerenza che i comunicatori pubblici praticano da sempre. Adesso, comunicatori e giornalisti debbono guardare all’Aran e alle organizzazioni sindacali con maggior fiducia e con la speranza che sia più vicino il tempo delle decisioni indispensabili per avviare un vero processo di cambiamento nel sistema dell’informazione e della comunicazione.
Dopo i comunicatori pubblici, i giornalisti degli uffici stampa
Altri articoli
-
Associazione“Comunicazione Pubblica”: percorsi formativi
-
Associazione
Una nuova PA tra Riforme e Federalismo
-
-
Tecnologie interattive
A Roma certificati on line
-
Tecnologie interattivewww.museoscienza.org cambia faccia
-
FormazioneMaster in Corporate Citizenship
-
-
-