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Archivio newsletter - Associazione Italiana per la Comunicazione Pubblica e Istituzionale

Mi capita molto spesso di partecipare a convegni, di intervenire in trasmissioni radiofoniche o televisive dove la parola d'ordine è: ormai siamo nell'era del web 2.0.

E' come se tutti i giorni mangiassimo pane e web 2.0. In sostanza sembra quasi che tutto quello che facciamo, da quando ci alziamo la mattina a quando andiamo a letto la sera, è 2.0. E in questo interrogarci su come possiamo farlo cerchiamo sempre di comprendere come l'informazione anche nel nostro Paese stia cambiando con le nuove tecnologie.

Paradossalmente, nell'epoca della convergenza culturale - come la definisce il direttore del MIT Henry Jenkins -, della comunicazione multipiattaforma, la manipolazione dell'informazione può essere amplificata e massificata. Jenkins osserva, in una sua intervista sull'autorevolezza delle fonti Internet "è interessante osservare che al di là di grandi nomi come ‘New York Times' o ‘Financial Times' i siti Internet davvero influenti o autorevoli non sono sempre noti. Finora abbiamo misurato autorevolezza e successo di un mezzo di informazione in base al numero di copie vendute. Ma sulla Rete non è così: l'attendibilità si conquista nelle nicchie. E non ha molto senso chiedersi se una qualsiasi fonte di informazione sia autorevole; la domanda corretta da porsi è: autorevole e importante per chi?".

Ecco che allora sul web, Internet propone siti alternativi di informazione ma "very influential". Come alternet.org, che ha milione e mezzo di visitatori, nato dall'iniziativa dell'Independent Media Institute, che propone un mix di informazioni e servizi su diversi temi, con l'intento di coinvolgere i cittadini utenti. Huffingtonpost.com, uno dei due blog "al femminile" più influenti degli Stati Uniti, guidato da Arianna Huffington. E, per parlare dell'Italia, potremmo citare il vituperato Dagospia.

Jacques Julliard, storico editorilista del "Nouvel Observateur", nel suo ultimo saggio ‘La Reine du monde' teorizza il passaggio dalla democrazia rappresentativa alla democrazia d'oponione introducendo un nuovo soggetto: "l'uomo ordinario". Julliard  sostiene che siamo ormai al crepuscolo del vecchio parlamentarismo, che la sola ratifica parlamentare senza quella dell'opinione pubblica non basta alla reale applicazione di un provvedimento legislativo. In tutto ciò, sostiene "che vi sia un ruolo fondamentale esercitato da Internet. La rete è una chance ma anche un grande rischio: Internet abolisce la disuguaglianza nell'opinione. Veicola l'idea demagogica che siamo "tutti dotti" o "tutti giornalisti". In politica l'opinione dell'ubriacone del bistrot all'angolo è legittima quanto quella del professore del College de France. Nella scienza no. La scienza è impermeabile all'idea di democrazia.

Se Wikipedia fosse esistita all'epoca di Galilei avrebbe scritto che la terra è immobile e il sole le ruota intorno. Perché questa era l'idea della maggioranza".
Alla luce di queste riflessioni di eminenti studiosi di scuole filosofiche di diversa ispirazione, sorge sponteneo chiedersi quale sia la strada giusta da percorrere. Come l'informazione veicolata sul web si innesti con strumenti e nuove forme di relazione che si stanno moltiplicando attraverso i social network.

E, soprattutto, viene da chiedersi come noi che mangiamo pane e web 2.0 dobbiamo comportarci. Non sempre ci sono risposte esatte. Nel senso che sul web le scopri ora dopo ora. O, forse, per citare una frase da una canzone di Lucio Battisti, riportata spesso da politici (in particolare Maurizio Gasparri)....'lo scopriremo solo vivendo'....

                                                                          Francesco Pira