Una ricerca di FPA sul lavoro pubblico (di cui per ora riportiamo una sintesi, ripromettendoci di entrare nel dettaglio nei prossimi numeri di "Comunicatori&Comunicazione" ndr) rivela che entro il 2021 la P.A. italiana potrebbe avere più pensionati che dipendenti per il continuo calo del personale e un equilibrio fra ingressi e uscite che, nonostante lo sblocco del turnover, non è ancora stato raggiunto.
A fronte di 3,2 milioni di impiegati pubblici italiani (in termini assoluti il 59% di quelli francesi, il 65% di quelli inglesi, il 70% di quelli tedeschi) i pensionati pubblici sono già 3 milioni. Un numero in crescita costante e destinato a salire perché i "pensionabili" oggi sono molti: 540mila dipendenti hanno già compiuto 62 anni di età (il 16,9% del totale), mentre 198mila hanno maturato 38 anni di anzianità. La pensione anticipata è stata parzialmente accelerata da 'Quota 100', nel 2019 sono uscite anticipatamente dalla P.A. 90 mila persone. Il 57,7% dei pensionati pubblici attuali ha optato per il ritiro anticipato, solo il 13,7% per raggiunti limiti di età mentre questa percentuale è il 20% nel privato e il 28% negli autonomi. Ne risulta che dal 2018 a oggi sono andati in pensione 300mila dipendenti pubblici a fronte di circa 112mila nuove assunzioni e 1.700 stabilizzazioni di precari, nel solo 2018.
C'è lo sblocco del turnover, ma le procedure sono lente e la media dei tempi tra emersione del bisogno e effettiva assunzione dei vincitori dei concorsi è di oltre 4 anni. E così, con in più il blocco imposto dal covid-19, da settembre del 2019 a oggi sono state messe a concorso meno di 22mila posizioni lavorative, di questo passo ci vorrebbero oltre dieci anni per recuperare i posti persi.
La fotografia generale è quella di una P.A. anziana, in cui l'età media del personale è di 50,7 anni, con il 16,9% di dipendenti over 60 e appena il 2,9% under 30. Una P.A. in cui 4 dipendenti su 10 hanno la laurea, ma gli investimenti in formazione, necessari per aggiornare competenze e conoscenze, si sono quasi dimezzati in dieci anni, passando da 262 milioni di Euro del 2008 a 154 milioni del 2018: 48 Euro per ogni dipendente, che consentono di offrire in media un solo giorno di formazione l'anno a persona.
In questo scenario un'importante circostanza: il ricorso, seppure forzato, allo smart working durante l'emergenza covid-19, per la gran parte dei dipendenti pubblici è stata un'esperienza positiva che ha portato (secondo un altro sondaggio di FPA) in qualche caso addirittura a un aumento di produttività: per 7 lavoratori su 10 è stata assicurata totale continuità al lavoro, per il 41,3% l'efficacia è persino migliorata; per il 61% la nuova cultura di flessibilità e cooperazione prevarrà anche finita l'emergenza. Ma lo smart working ha significato anche una riduzione di sprechi, quantificabili in 135 milioni di ore di spostamenti in meno nei tre mesi di lockdown, pari a 1 miliardo di km non percorsi, 400 milioni di Euro di benzina risparmiati e 127mila tonnellate di CO2 in meno nell'atmosfera, oltre al 30% di costi in meno a carico della P.A. tra consumi energetici, gestione delle mense e pulizie dei locali.