Ancora una volta siamo costretti ad occuparci di una vicenda, quella relativa all'inopinato trasferimento di COM-PA a Milano, che consideriamo grave, inaccettabile e che si configura come un tentativo di togliere voce alla nostra Associazione nonostante la sua riconosciuta e autonoma attività a favore dei comunicatori pubblici. Ricordiamo i fatti.
A tre anni dalla scadenza del contratto che ci legava a Conference Service, l'azienda che gestiva il nostro Salone, il titolare ha deciso, nonostante il nostro più assoluto e manifesto disaccordo, di trasferire l'iniziativa a Milano.
La rassegna si è così trasformata in una manifestazione dichiaratamente commerciale che ha perso autorevoli patrocini e che è stata privata di iniziative che sinora ne avevano caratterizzate la originalità e la diversità. Ma non solo. Si è perseguita una linea politico-organizzativa destinata ad introdurre, in quello che è sempre stato uno spazio fra uguali, strategie e personaggi a cui la comunicazione pubblica deve veramente poco o nulla.
Contestualmente il titolare di Conference Service ha avviato una campagna di attacchi personali e di ripicche nei confronti dell'Associazione la cui unica colpa è di aver firmato, in buona fede, un contratto che imponeva una correttezza delle parti che alla luce dei fatti è mancata e non per colpa nostra.
La gestione delle iniziative convegnistiche è stata affidata, senza consultarci, ad una fondazione universitaria che a tutt'oggi non ci ha ancora fornito quel programma sul quale, come da contratto, dobbiamo esprimerci. Insomma, non solo il marchio COM-PA ma la logica stessa del nostro Salone è stata stravolta per scopi e finalità che ci auguriamo siano chiarite al più presto.
Per questi motivi abbiamo deciso di utilizzare l'unica arma attualmente a nostra disposizione: quella dell'indignazione.
Non possiamo essere a Milano per i valori a cui ci richiamiamo e per la lealtà verso le Amministrazioni che cerchiamo di servire con trasparenza e coerenza.
Il nostro assoluto rispetto per la città di Milano e per le sue Istituzioni pensiamo di manifestarlo non avallando un atto di arroganza oltre a scelte commerciali e scientifiche che non appartengono né alla nostra cultura di dipendenti pubblici né alla nostra etica professionale.
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