Smart working e tracciamento dei dati. Ne ha parlato il garante per la privacy Antonello Soro, durante l'audizione fatta in Commissione Lavoro del Senato. "Per garantire che le nuove tecnologie rappresentino un fattore di progresso e non di regressione sociale, valorizzando anziché comprimendo le libertà affermate sul terreno lavoristico, è indispensabile garantirne la sostenibilità sotto il profilo democratico e la conformità ad alcuni irrinunciabili principi". "Il minimo comun denominatore di queste garanzie va individuato nel diritto alla protezione dei dati: presupposto necessario di quella libera autodeterminazione del lavoratore che ha rappresentato una delle più importanti conquiste del diritto del lavoro". Perché "in un contesto quale quello attuale, caratterizzato tanto dall'emergenza quanto da un ricorso al digitale, l'autodeterminazione del lavoratore rischia di essere la prima libertà violata, persino in maniera preterintenzionale. Il diritto alla protezione dei dati consente di impedirlo".
Sullo specifico del lavoro in remoto, dice il garante, non vi è sempre piena consapevolezza e occorre impedirne un uso improprio. Per questo, ha proseguito Soro "Il ricorso alle tecnologie non può rappresentare l'occasione per il monitoraggio sistematico del lavoratore. Deve avvenire nel rispetto delle garanzie sancite dallo Statuto a tutela dell'autodeterminazione del lavoratore che presuppone, anzitutto, formazione e informazione del lavoratore sul trattamento a cui i suoi dati saranno soggetti". E ha aggiunto che "non sarebbe legittimo fornire per lo smart working un computer dotato di funzionalità che consentono al datore di lavoro di esercitare un monitoraggio sistematico e pervasivo dell'attività compiuta dal dipendente tramite questo dispositivo". Non solo: "va assicurato in modo più netto anche il diritto alla disconnessione senza cui si rischia di vanificare la necessaria distinzione tra spazi di vita privata e attività lavorativa, annullando così una delle più antiche conquiste raggiunte dal diritto del lavoro".
"Il tracciamento dei contatti, il contact tracing, è uno strumento di prevenzione che certamente non può essere imposto ai lavoratori, assunti o candidati che siano" ha detto Soro. "Sulla scorta delle indicazioni fornite dagli organi del Consiglio d'Europa e dell'Unione europea, la specifica norma ha sancito espressamente la natura esclusivamente volontaria dell'adesione al sistema di tracciamento dei contatti, il cui rifiuto non deve determinare alcuna conseguenza pregiudizievole nei confronti dell'interessato". E ha proseguito "la scelta in ordine all’adesione o meno al sistema non deve essere in alcun modo condizionata, neppure indirettamente, dal timore di possibili implicazioni sfavorevoli, che ove prospettate renderebbero comunque illegittima la raccolta dei dati, che risulterebbero per questo motivo inutilizzabili".
"La necessaria volontarietà del tracciamento – ha concluso il Garante – unitamente ad altre garanzie previste dalla legge sul terreno della protezione dati, costituisce uno dei presupposti essenziali per la fiducia dei cittadini in questo sistema. Che deve poter tracciare non le persone ma il solo riflesso della loro attività epidemiologicamente rilevante: i contatti ravvicinati e duraturi tanto da poter indurre un contagio".
Infine il garante ha ricordato come nel contesto di emergenza prodotto dalla pandemia Covid-19, i poteri dei datori di lavoro sono stati ampliati "per fini anzitutto di prevenzione dei contagi". "Però, per impedire abusi nell'esercizio di tali poteri, è necessario delimitarne l'ambito, che non può essere interamente rimesso alla contrattazione individuale, proprio per i limiti che caratterizzano la capacità dispositiva del lavoratore nell’ambito di un rapporto asimmetrico quale quello in esame". Perché , ha significato, la protezione dei dati e le garanzie giuslavoristiche impediscono abusi e limitazioni della libertà del lavoratore.