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Comunicazione Pubblica

Archivio newsletter - Associazione Italiana per la Comunicazione Pubblica e Istituzionale

Riceviamo da un collega e socio di "Compubblica" un contributo che riassume il suo essere "comunicatore pubblico". A conferma della qualità di una professione di straordinaria, strategica importanza per una nuova ed efficiente Pubblica Amministrazione.

Alle prese con la signora Maria che entra allo sportello front-office dell'Urp leggermente infuriata perché i tecnici comunali non hanno ancora tagliato l'erba alta nel parco pubblico, non puoi rispondere subito al telefono su cui appare ‘esterna' e che, con buona probabilità, è il signor Mario che chiede l'orario in cui si svolge l'evento serale al teatro cittadino. Intanto però l'assessore esige, come al solito con un'urgenza veramente urgente, sia pronto il pieghevole chiesto il pomeriggio prima; come fosse questione di un buon vino rosso che attende solo di essere versato nel bicchiere, tanto poco ci vuole a farlo. Nel frattempo, vengono convocate due conferenze stampa cui non si può proprio mancare, perché chi le coprirebbe altrimenti con i servizi di cura e immagine fotografica, così da postare poi immediatamente su Facebook?

Sia quel che sia, il comunicatore pubblico oggi gioca una buona parte di sé e della propria professionalità - faticosamente acquisita in anni di studio universitario, di corsi di qualifica e di esperienza sul campo - come fosse in un frullatore, pressato da più parti in contemporanea, dovendo gestirle egualmente, o perlomeno sufficientemente, bene tutte quante. Non abbiamo molte possibilità di scegliere: valuto un compito importante ed urgente quindi mi adopero subito, un altro molto meno quindi lo metto in disparte. No, non è dato in questo mestiere, che vive delle contraddizioni – ma certo anche delle ricchezze umane - di essere a metà strada tra le relazioni con i cittadini e la politica, di poter valutare le reali priorità di un'azione comunicativa e su di esse giocare la migliore partita, creando un buon prodotto per i palati diventati esigenti dei cittadini.

Un mestiere che necessiterebbe di più calma e perizia – chi di noi non sa che scrivere un pezzo, verificando con puntualità le fonti e i particolari richiede attenzione, tempo ed un impensabile silenzio attorno? – ed invece ti obbliga a muoverti con fretta e approssimazione, non giovando certo alla qualità del messaggio. Siamo protagonisti, è vero, di un gran bel lavoro, che in molti casi rappresenta un indubbio valore sociale per le comunità cui apparteniamo, benché sia poco riconosciuto in termini di apprezzamento simbolico. Poco male, se si pensa a come in Italia vengono considerati (e retribuiti) gli insegnanti, cui guarda caso il nostro lavoro per certi versi somiglia. Condividiamo con loro un'ineliminabile funzione pedagogica che fa parte della nostra professione, che ha a che fare con la parola e i gesti, straordinari vettori di concetti, emozioni, espressioni. Siamo poi costruttori, al pari dei giornalisti, di opinioni, ruolo di alto valore che contribuisce a formare la mentalità collettiva, creando oppure distruggendo fiducia, offrendo numeri e idee su cui il pensiero può ragionare criticamente e decidere la propria posizione. Abbiamo insomma un compito sociale forte, che va gestito appieno e, a mio parere, per il bene e la crescita delle persone che ci ascoltano, ci leggono, ci interpellano.

Pur nelle difficoltà di cui spesso la giornata si compone - mentre nel frattempo la signora Maria esce meno imbronciata dall'URP - non possiamo dimenticarlo.

Andrea Bruni