“Qualcosa di nuovo che produce qualcosa di buono per una comunità”. Riassume così Annamaria Testa il processo creativo e i suoi risultati, mettendone in evidenza la dimensione progettuale ed etica.
La trama lucente ha molti pregi, tra questi quello di proporre un quadro complesso, ricchissimo di particolari, esprimendosi al contempo in modo semplice, evitando specialismi e tecnicismi. Un compito non da poco se si considera che la creatività viene indagata in questo libro attraverso una pluralità di discipline (filosofia,
arte, psicologia, neuroscienze, cognitivismo, pedagogia, sociologia, management, economia) senza ridurla o semplificarla a un singolo fattore causale.
L’approccio è dunque stistemico ma anche fenomenologico: più che alle teorie e ai tentativi di definizione (che cosa è la creatività) l’attenzione è centrata sul “come funziona” e sul cosa produce, sui processi creativi all’opera in diverse situazioni individuali e sociali.
Proponendosi di andare oltre i luoghi comuni e
pregiudizi che inseguono la creatività (qualcosa che interesserebbe solo le arti e la fantasia) il campo di ricognizione diviene molto ampio e la stessa creatività emerge come un continuum, una scala qualitativa che interessa persone e organizzazioni, piuttosto che una essenza riservata a grandi artisti.
Annamaria Testa riallaccia i tanti fili delle teorie e ricerche che negli ultimi due secoli si sono cimentate con la creatività evidenziando gli elementi di convergenza e complementarietà. Dal matematico Poincarè alla psicologia
della Gestalt, dal cognitivismo alle neuroscienze: la capacità di unire elementi preesistenti in nuove combinazioni, la ristrutturazione del campo e delle informazioni, l’illuminazione che consente il salto di qualità.
Una particolare attenzione è posta sulle caratteristiche del processo creativo, dalle sue fasi ‘preparatorie’ nelle quali si raccolgono materiali, alle fasi di ‘incubazione’ nelle quali si ricerca un nuovo ordine di senso per i dati a disposizione, alla fase di ‘illunminazione’
in cui gli elementi in gioco trovano una ristrutturazione, alla fase di ‘verifica’ che sottopone a prova i risultati e se opportuno li consolida.
Allo stesso tempo recupera il racconto e l’esperienza di poeti, pittori, scrittori, educatori, scienziati, manager, per arrivare a noi stessi nella nostra vita quotidiana, alle prese con piccoli e grandi problemi. Questo per vedere da vicino come lavorano i creativi, il loro stile e capacità di cogliere la complessità dei sistemi, di sviluppare visioni di insieme e cogliere le alternative
possibili. La creatività non è quindi solo un tratto della personalità bensì un comportamento che deriva da una biografia, da specifiche abilità cognitive, da un contesto educativo e sociale. Coerentemente con le premesse la creatività è qualcosa che richiede di essere comunicata e di ricevere legittimità dalle comunità professionali e sociali. E anche per questo trova applicazione in ambiti non sospetti quali le imprese e le organizzazioni. Questi ultimi sono infatti sistemi che producono significato e appartenenza,
possono incoraggiare o meno la condivisione e la cooperazione.
Solitamente i manager concentrati sugli imperativi più classici del business ritengono che la creatività sia una cosa che al più riguarda i settori ricerca e sviluppo. Ma che cosa è il ‘problem solving’, oggi sempre più richiesto a chi opera in condizioni di incertezza, se non un processo creativo? L’innovazione caratterizza oggi sempre più imprese e organizzazioni, quindi la loro capacità (creativa) di inglobare collegare, elaborare
nuove conoscenze e tradurle in nuovi processi e prodotti. Non è un semplice miglioramento dell’esistente. L’esperienza mostra come differenti stili di leadership, tradizionalmente autoritari piuttosto che partecipativi, hanno un evidente impatto sulla capacità delle organizzazioni di essere in grado di rispondere a sfide inattese e al miglioramento continuo. Certamente porsi il problema di implementare queste competenze e capacità di azione richiede particolari attenzioni e predisposizioni, una vera e propria “gestione della creatività”:
un diverso modo di controllare le attività, feedback continui, comprensione e aiuto sui problemi, supporto alla motivazione e attenzione ‘emozionale’ per circoscrivere le negatività, ecc. Avendo anche consapevolezza delle difficoltà e specificità che può porre una unità organizzativa, e le persone che ne fanno parte, particolarmente vocata a promuovere il cambiamento.
Non si danno in definitiva regole e ricette pronte all’uso in tema di creatività, non è una nuova materia ma uno
stile di insegnamento e di apprendimento, un modo di lavorare che ciascuno, singolarmente e con la propria organizzazione, può intraprendere. Ma indubbiamente è utile conoscere teorie e metodi, tecniche ed esperienze, per essere maggiormente consapevoli dei processi nei quali siamo coinvolti e per agire conseguentemente in modo più efficace. Il Lavoro di Annamaria Testa è un’ottima guida e punto di partenza.
Paolo Tamburini
Comunicare la creatività
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