Il rischio ambientale è argomento più che mai attuale e genera timori che spesso i cittadini non sono preparati ad affrontare. I media non aiutano nella comprensione dei fenomeni, ma rischiano talvolta perfino di ostacolarla stressando la spettacolarizzazione e l'emergenza, anziché accompagnare esperti, Istituzioni e opinione pubblica nella difficile costruzione di una mediazione tra esigenze di scientificità e necessità di prevenzione, educazione, divulgazione.
Di come gli attori coinvolti nel sistema della comunicazione su temi ambientali possono collaborare, per fare chiarezza e costruire una visione dei problemi scientificamente coerente e, allo stesso tempo, comunicativamente efficace se n'è discusso all'incontro “Sicurezza ambientale” nell'ambito di COM.Lab 2015. 
La sicurezza ambientale si costruisce attraverso una comunicazione pianificata, pensata e continuativa che privilegi l'educazione dei cittadini ai fenomeni naturali, piuttosto che la reazione in risposta all'emergenza. 
Ha introdotto il dibattito Tiziano Trevisan, in veste sia di consigliere di “Comunicazione Pubblica”, sia di responsabile comunicazione della Centrale Unica del Soccorso e del Dipartimento d'Emergenza della Valle d'Aosta, stimolando i presenti a una riflessione sulla bassa percezione del rischio ambientale in Italia (legata indissolubilmente al tema della sicurezza) e alla necessità di costruire una cultura del rischio, da parte dei cittadini, ma anche delle Istituzioni, con attività mirate, costanti e continuative.
Mariangela Ciampitti, di ERSAF-Regione Lombardia, ha ricordato come sia stato fondamentale responsabilizzare i cittadini all'azione e alla segnalazione, attraverso campagne di comunicazione che sono state riconosciute dall'Unione Europea come uno strumento fondamentale di monitoraggio e sorveglianza, nella lotta all'introduzione (e alla diffusione) di organismi nocivi come il tarlo asiatico e alcune piante alloctone, che ha costi economici, sociali e ambientali elevatissimi. Oggi, la Commissione ha per questo introdotto l'obbligo per gli Stati membri di attivare campagne di comunicazione per la prevenzione.
 Nel caso di progetti di protezione di animali come i grandi carnivori, orsi e lupi in particolare, “conservazione e comunicazione spesso coincidono. Lo ha spiegato Mauro Belardi, biologo e membro del board del Programma Alpi Europeo del WWF. Dal punto di vista ecologico, infatti, queste specie in Italia non hanno nessun problema di conservazione. L'unico rischio è rappresentato da possibili occasioni di conflitto con l'uomo. Un problema di accettazione, quindi, che obbliga l'esperto di conservazione a occuparsi anche necessariamente di comunicazione e di linguaggi. 
Orsi e lupi sono specie affascinanti e dal punto di vista mediatico hanno grande risonanza, conquistano le prime pagine, nel bene e nel male però, spesso, nel trattamento mediatico del problema prevale l'emotività, l'irrazionalità. Animali che solo potenzialmente rappresentano un serio pericolo per l'uomo, diventano capri espiatori di altri problemi e sono demonizzati in modo strumentale. Questo processo è aggravato anche dal linguaggio aggressivo e sensazionalistico usato da chi li contrasta e dal trattamento superficiale da parte di alcuni giornalisti. Sempre più scomoda dunque la posizione tenuta finora dagli ambientalisti che in questi anni hanno scelto di mantenere una comunicazione moderata, strettamente legata alle evidenze scientifiche, che dimostra di non fare presa né sull'opinione pubblica né sui media. 
Silvia Mattoni, responsabile ufficio stampa dell'Istituto Italiano di Geofisica e Vulcanologia ha raccontato la difficoltà di avvicinare i cittadini a conoscere il territorio e la sua pericolosità su rischio sismico e vulcanico, senza scadere nell'allarmismo o, viceversa nell'eccessivo “rassicurazionismo”, come accadde nel 2009, per il terremoto de L'Aquila. Entrambi gli atteggiamenti possono indurre effetti di amplificazione del pericolo e comportamenti errati da parte della popolazione. È fondamentale perciò la costruzione di un rapporto collaborativo con i giornalisti per allinearsi su obiettivi di informazione e divulgazione ed evitare la cattiva informazione. Inoltre, i canali di comunicazione web e tradizionali devono convergere per offrire informazioni chiare, in tempo reale, così da essere punto di riferimento e tenere le persone aggiornate in caso di emergenze.
Il presidente dell'Unione dei Giornalisti Scientifici e caporedattore del “Corriere della Sera”, Giovanni Caprara, conclude il dibattito con il punto di vista di chi, da anni, si occupa di raccontare la scienza al grande pubblico. “Parlare di rischio ambientale – precisa Caprara - è difficile perché è un mondo quasi sconosciuto sia a chi lo deve raccontare, comunicatori e giornalisti, sia ai cittadini”. Da un lato c'è un sistema di comunicazione incapace di rendere accessibile un argomento complesso da capire e ricco di contenuti, dall'altro, ci sono le persone che tendono a guardare alla scienza con diffidenza o, nel migliore dei casi, essere coinvolti solo dalla spettacolarizzazione degli eventi naturali.
Gli esperti non sono formati per comunicare con i giornalisti in modo comprensibile e nelle redazioni, la scienza è vista ancora come un argomento di nicchia o di cronaca. Chi ne fa le spese è il lettore, disorientato da messaggi sensazionalistici e quindi poco credibili.
Necessario dunque ricominciare a costruire comunicazione e informazione che riportino il racconto sulla realtà per quella che è, a partire da dati e fatti oggettivi, attraverso linguaggi divulgativi, comprensibili, pacati e razionali, fuori dall'emergenza e dalla sensazionalità della cronaca.  
                                                                                                                                  V. C.
        
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