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Archivio newsletter - Associazione Italiana per la Comunicazione Pubblica e Istituzionale

Webfest 2012: la festa del popolo del web


L’Italia è una Repubblica fondata sul web? Il tema è di straordinaria attualità, tanto da essere stato identificato come argomento di apertura della decima edizione del WebFest 2012, International Festival of Digitale and Web Arts, tenutosi a Pescara dal 9 all’11 maggio e che ogni anno richiama dall’Italia e dall’estero esperti, professionisti e curiosi della rete.

Un’occasione per fare il punto sui ritardi dell’agenda digitale, la banda larga, il digital divide, l’e-goverment, nonché sulle occasioni ormai perdute e quelle invece da cogliere per il futuro del web.

Il punto di domanda è d’obbligo e la risposta tutt’altro che scontata.

All’incontro, al quale hanno preso parte tra gli altri il Magnifico Rettore dell’Università di Chieti, Fabio Capani, l’Assessore al Lavoro della Provincia di Pescara, Antonio Martorella, e Oreste Signore di W3C Italia, è stato posto l’accento in particolare sul ruolo dei comunicatori pubblici, protagonisti e motore, spesso con poco o senza carburante a disposizione, del cambiamento del Paese.

Marco Magheri, delegato dell’Associazione Italiana di Comunicazione Pubblica e Istituzionale per il Lazio, dove dirige le relazioni istituzionali e con i media dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, nel suo intervento in rappresentanza dei comunicatori pubblici, ha sottolineato che “L’Italia è una Repubblica fondata sul web…a sua insaputa, per utilizzare una locuzione tristemente frequente nelle giustificazioni date quando vengono a galla delle presunte illegalità”.

In questo caso l’accezione però è per un certo verso positiva, in quanto, mentre gli investimenti strutturali per la banda larga e una definizione dettagliata dell’agenda digitale sono ancora tutt’altro che concreti, l’Italia è in grado di esprimere eccellenze ed esperienza di livello internazionale. Una ricchezza che tuttavia, senza che venga messa a sistema, rischia di essere lettera morta.

Cinque gli elementi toccati nel corso dell’incontro e che potrebbero essere dei veri e propri #hastag (i temi di conversazione per i patiti di Twitter) per le riflessioni dei comunicatori pubblici: navigazione, regolazione, percezione, condivisione, comunicazione.

Siamo al 48° posto nella classifica del World Economic Forum “The global information technology Report 2012”, che vede sul podio Svezia, Singapore e Finlandia…e questo non stupisce. Quel che deve far riflettere è l’essere alle spalle di realtà come la Croazia o il Montenegro. Una posizione già non ragguardevole che ci vede però scivolare all’85° posto se viene preso in esame il solo parametro della qualità del funzionamento politico e regolamentare in materia, precipitando poi al 113° scalino a causa dei ritardi dei Governi in iniziative di competitività in campo digitale. Eppure, secondo gli autori del Rapporto: “La digitalizzazione moltiplica l’impatto della connettività con conseguente incremento di valore non solo in termini di creazione di posti di lavoro e di crescita economica ma anche sul benessere della società e sulla trasparenza del governo”.

Un benessere di là da venire se è vero che, come rivela una Ricerca Istat realizzata con il Dipartimento Innovazione tecnologica nel 2011, solo il 14% degli Italiani ha utilizzato internet come canale di contatto con la Pubblica Amministrazione e che la percezione è che negli ultimi 12 mesi i servizi non sono migliorati. Vale a dire che per quanto ci si possa impegnare a “digitalizzare l’Italia”, se non vi è di pari passo un’azione strategica sulla comunicazione pubblica, i vantaggi non vengono percepiti e l’investimento somiglia in maniera preoccupante a uno spreco.

Già, perché l’impatto economico della digitalizzazione è davvero enorme. Basti prendere a esempio – come suggeriscono i risultati di una ricerca del 2011 della School of Management del Policlinico di Milano – tre segmenti dei rapporti tra i servizi comunali e i cittadini: la digitalizzazione dei pagamenti multicanale, dei certificati anagrafici e dell’invio pratiche telematiche allo sportello unico delle attività produttive può produrre 2,3 miliardi di euro di risparmi all’anno per la PA. Non male per un Paese a caccia di sprechi e dove vengono richiesti e prodotti ogni anno 16,5 milioni di certificati.

Le buone pratiche non mancano lungo lo Stivale e ogni settimana ne viene dato conto anche nella Newsletter dell’Associazione Italiana di Comunicazione Pubblica e Istituzionale, ma una condivisione che parte da chi fa le cose non può più prescindere dall’azione di chi quelle buone pratiche ha il compito istituzionale di metterle a sistema.

Sapere per migliorare e risparmiare, e per vivere meglio, insomma. Ma per risparmiare occorre investire: in termini di risorse economiche e capitale umano, valorizzando le professionalità che all’interno della PA lavorano quotidianamente per ridurre la distanza che separa una Pubblica Amministrazione efficiente ed efficace dai cittadini, utilizzando gli strumenti propri dell’informazione e della comunicazione.

L’Italia del web o sarà banda larga o sarà una sarabanda.



Marco Magheri