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Associazione Comunicazione Pubblica
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Comunicazione Pubblica

Archivio newsletter - Associazione Italiana per la Comunicazione Pubblica e Istituzionale

Cosa trasforma una singola percezione in una percezione condivisa? Certamente la capacità di mettere in fila piccoli e grandi fatti per dare una visione d'insieme di un problema e, di conseguenza, la possibilità per coloro che intendono affrontarlo di condividere strategie e azioni.
La comunicazione pubblica, ad esempio.

Alcuni mesi fa in un sito pagato con i soldi di tutti, compare un appello ad un presunto attuatore della Legge 150.
Naturalmente non era vero.
In un altro sito qualcuno invoca l'abolizione della Legge 150 come impegno prioritario dell'attuale governo.
Fortunatamente nessuno lo prende sul serio.

In Sardegna si attiva una Associazione per tutelare i comunicatori pubblici.
Ma non sono i sindacati a dover svolgere questa funzione?
Più di recente una società di formazione propone un corso in cui alla comunicazione pubblica si assegna il compito di "persuadere e ottenere il consenso".
Opportunamente una nostra collega ricorda all'azienda come tale obbiettivo non sia richiesto neppure alla propaganda politica.

Il tutto all'interno di un attacco inaudito alla libertà e all'autonomia della nostra Associazione che da almeno un decennio cerca di dare professionalità e competenza ad un settore devastato dall'autoreferenzialità e da piccoli interessi di bottega.

Per evitare lo scatenarsi dell'ennesimo polemica diciamo subito che chiunque può dire e sostenere qualsiasi cosa. Riteniamo i comunicatori pubblici sufficientemente capaci di distinguere tra amici e falsi amici. Il problema quindi non è di limitare idee o fantasie ma di spiegare perché dietro tutto questo e al di là delle buone intenzioni di tanti, si nasconda il pericolo di indebolire gravemente la comunicazione e i comunicatori pubblici.

Così mentre noi siamo impegnati a costruire una comunità professionale, altri rischiano di favorire, più o meno in buona fede, un processo di atomizzazione del nostro movimento. Per capirci, sarebbe come se i giornalisti dessero vita a tanti ordini professionali ciascuno sufficientemente forte per gridare ma tutti sufficientemente deboli per non rappresentare e tutelare interessi comuni.

Va da se che noi non ci riteniamo i soli legittimati a parlare di comunicazione pubblica. Ma non saremmo coerenti con noi stessi e con chi da anni ci dà fiducia e sostegno se non dicessimo che tutto questo fervore non ci porterà da nessuna parte.
Finirà solo per favorire i Grandi Frenatori che garantiti e protetti da antiche reti amicali straparlano di cambiamento ben attenti però che tutto e tutti rimangano ai loro posti.

La Legge 150 non era e non è la soluzione di tutti i problemi. Ma era ed è la maggior opportunità per cominciare davvero a cambiare. Per creare quella comunità professionale riconosciuta nei propri diritti e professionalizzata nei propri doveri.
Averla trasformata in un eterno dibattito tra favorevoli e contrari è stata una colpevole responsabilità di chi a parole afferma di pensare al futuro dei giovani vagheggiando professioni e competenze improbabili, ma nei fatti costituisce il più grande ostacolo per garantire alla comunicazione pubblica una certezza di futuro