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Manager della sanità: una proposta antilottizzazione

L'arcinoto problema delle nomine dei manager della sanità (direttori generali delle Aziende unità sanitarie locali e direttori generali degli ospedali), è quanto mai attuale e tuttavia non si intravedono segnali, ovviamente provenienti dalla politica, che facciano pensare ad un cambiamento di rotta riguardo alle "metodologie" di scelta da sempre operate.

La lottizzazione dei posti è sotto gli occhi di tutti e, ormai, appare come un male curabile verso il quale pochi si adoperano per somministrare le giuste "medicine". In poche parole non si ha il "coraggio", come usa dirsi, di prendere il toro per le corna perchè tante sono le resistenze e la voglia di continuare a fare clientelismi e favoritismi ai più bassi livelli.

La denuncia pubblica (in TV, nei giornali, nei blog) non è più sufficiente. Si agisce come se nulla fosse e le richieste di scegliere manager competenti ed indipendenti cadono nel vuoto.

E' noto che non c'è proporzione tra la platea di  aspiranti manager ed il numero di posti disponibili ai vertici delle aziende sanitarie e ospedaliere.

In tutto il Paese, fino ad oggi, è stata la politica a "semplificare" il problema, mediante "scelte" di  persone ad essa assai vicine o comunque legate ai leaders che comandano. Non sempre ai vertici della sanità pubblica sono state collocate personalità indipendenti con adeguate competenze e professionalità. Basta dare un'occhiata alla patologica spesa sanitaria o alla disorganizzazione della quasi totalità dei nostri ospedali, per averne conferma.

La lottizzazione partitica, a prescindere  dal numero dei candidati ed in dispregio delle leggi e della buona amministrazione, ha prodotto una situazione intollerabile il cui costo lo pagano per intero i cittadini ai quali vengono forniti, malgrado il fiume di danaro che viene speso, servizi scadenti in cui efficienza e qualità non si sa dove abitino. Salvo che non ci si rivolga a strutture private, adeguatamente rimborsate, o ai pochi ospedali (o reparti di essi)  tenuti in piedi da un manipolo di volenterosi (medici e personale paramedico) che sanno anche coniugare, pur fra mille difficoltà, impegno professionale e passione civile.

La politica, in sintesi, ha messo le mani ovunque ma con maggiore protervia nel settore sanitario ritenuto, non solo dal punto di vista clientelare, strategicamente idoneo a soddisfare famelici bisogni di potere e di danaro come purtroppo ci evidenziano non poche inchieste giudiziarie e della Corte dei conti. Non c'è ministro, segretario di partito, presidente di regione o assessore che durante la campagna elettorale non abbiano annunciato drastiche misure e soprattutto il tenace intendimento di fare piazza pulita nominando, almeno ai vertici delle ASL, personalità davvero preparate e non legate ai giochi partitici. Ora che è passata la buriana elettorale i nodi vengono al pettine e, naturalmente, l'opinione pubblica si aspetta che le promesse vengano mantenute. Cosa si può fare  per rendere le nomine (ma non solo) della sanità trasparenti e svincolate da ogni lottizzazione partitica o di gruppi di potere?

Una classe politica, che aspira a qualificarsi tale, dovrebbe prioritariamente, al di là delle belle parole, elaborare concretamente criteri e regole precise per spazzare via un "andazzo" che premia gli yesman di turno a scapito del merito. Per essere precisi bisognerebbe fare quello che si fa in altri paesi europei e cioè discutere ed esaminare pubblicamente, nelle aule del Palazzo, i curricula; il possesso dei requisiti di legge a cominciare dall'assenza di condanne o carichi pendenti penali e contabili; le esperienze professionali maturate; e, soprattutto, i risultati di gestione conseguiti nei precedenti incarichi. Possibilmente con audizione, sempre pubblica, degli aspiranti alle nomine i quali dovrebbero rispondere alle domande dei membri di una commissione parlamentare o consiliare ai fini della formulazione di un giudizio complessivo che dovrebbe essere reso pubblico prima delle decisioni finali del potere politico. È una follia? Si, visto l'attuale squallore.

Potrebbe certamente non esserla se si pensa, però, che un percorso del genere, come minimo, garantirebbe in profondità la trasparenza e l'operato imparziale della pubblica amministrazione. Con i tempi che corrono non mi pare che sia poca cosa.
Non è escluso, inoltre, che procedendo con il dovuto rigore, qualcuno, carente di requisiti e privo di professionalità, decida di ritirarsi dalla corsa anche, auspicabilmente, dietro consiglio del suo "sponsor".

I governi  o le giunte, poi, dovrebbero pensarci due volte a scegliere figure sottostimate da una procedura, che  se introdotta, si caratterizzerebbe per assoluta limpidezza, pubblicità e rispetto della legalità.

Lino Buscemi, consigliere nazionale di "Comunicazione Pubblica"