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Archivio newsletter - Associazione Italiana per la Comunicazione Pubblica e Istituzionale

La Finanziaria taglia la comunicazione pubblica?

Quanto incide la "riduzione dei costi degli apparati amministrativi", previsti dall'ultima manovra finanziaria, sulle attività di comunicazione pubblica e istituzionale promosse da un Ente pubblico?
Partendo da una domanda che molti comunicatori si sono fatti nell'ultimo periodo, cerchiamo di fornire un'interpretazione che può essere lo spunto per una riflessione da parte di tutti coloro che, negli Enti, si occupano a vario titolo di comunicazione.
Il punto di partenza è quindi se il D.Lgs 78, convertito in legge nel luglio del 2010 (L.122/2010), taglia anche le attività e le relative spese di comunicazione pubblica e istituzionale, i cui principi sono disciplinati dalla L.150/2000.
Sulla questione si trovano diffuse interpretazioni, ma manca una univocità. Forse perché troppo spesso si tende a confondere le attività di comunicazione al cittadino, doverose e prescritte dalle leggi, con quelle di propaganda politica. Riaprendo così l'ennesima diatriba sulla distinzione, in realtà codificata da tempo, tra comunicazione istituzionale e comunicazione politica.
Si tende, perseguendo un'interpretazione restrittiva, a ricondurre alla locuzione relazioni pubbliche, indicata nel D.Lgs 78, tutte le attività di comunicazione pubblica e istituzionale. Però si sottolinea che la norma non prevede sanzioni, ma "la non applicazione comporta responsabilità di fronte alla Corte dei Conti".
Ed è proprio l'organismo di controllo della finanza pubblica che ci può aiutare nella corretta interpretazione della legge. Nel parere 1076/2010, la sezione regionale di controllo per la Lombardia scrive che "I limiti ex art. 6 comma 8 D.Lgs 78/2010 (convertito nella L.122/2010) non ricomprendono gli oneri a carico dell'Amministrazione funzionali a promuovere la conoscenza dell'esistenza e delle modalità di fruizione dei servizi pubblici da parte della collettività". Infatti, "l'efficace erogazione di un servizio presuppone ex se un'adeguata divulgazione del medesimo, al fine di consentirne l'effettivo esercizio da parte dei cittadini". Solo così si riescono a "conseguire - scrive ancora la Corte - soddisfacenti standard di efficacia ed efficienza normativamente imposti".
Se teniamo presente il principio cardine dell'ordinamento giuridico "Ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit" ("Dove la legge ha voluto ha detto, dove non ha voluto ha taciuto"), saremmo portati a credere che il legislatore, anche con l'ultima manovra per il risanamento dei conti pubblici, non abbia voluto contraddire se stesso.
La comunicazione con il cittadino e la garanzia di trasparenza sulle decisioni conseguenti non possono essere certamente limitate. Così come si legge nella Direttiva del 7 febbraio 2002. La quale prevede anche che le "spese complessive per la comunicazione e informazione pubblica" devono essere "una percentuale non inferiore al 2% delle risorse generali".
Se consideriamo, poi, la circolare 1/2010, firmata il 14 gennaio 2010, si evidenzia "l'importanza della trasparenza e della conoscibilità dei dati relativi alle attività delle pubbliche amministrazioni e ai dipendenti delle stesse": la trasparenza deve essere "intesa come accessibilità totale".
Abbiamo fugato qualche dubbio? Forse, crediamo però che sulla questione sia fondamentale un confronto, proprio per impedire che gli sforzi di tanti anni vengano vanificati perché si vorrebbe ridurre la comunicazione a semplice centro di costo.


Claudio Trementozzi