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Archivio newsletter - Associazione Italiana per la Comunicazione Pubblica e Istituzionale

Invitare i giovani a lasciare questo nostro Paese o a scappare da qualcuno e da qualcosa rischia di diventare una nuova moda destinata a concludersi inevitabilmente con una ulteriore divisione tra quelli che se lo possono permettere e già lo stanno facendo e quelli che non se lo possono permettere ma che intanto vorrebbero fare qualcosa per  cambiare le regole del gioco.

Vedo in televisione l'ennesimo dibattito urlato sull'argomento e mi viene in mente una lettera di Vittorio Zambardino del 2006 di critica alle facoltà di Scienze della Comunicazione che si concludeva così: "Scappate ragazzi: verso una facoltà seria, una di scienze ‘dure' una che vi faccia ‘fare il mazzo' sui libri e che bocci senza pietà agli esami".

Certo non nego di aver incontrato, nei miei anni di insegnamento in diverse università italiane, un certo numero di studenti neppure loro capaci di spiegarmi perché fossero lì, sbadigliatori a lezione, untuosamente furbastri (mostrare all'esame il libro del docente sembra molto gradito), democraticamente offesi di fronte a un 28 o un 29 ritenuto mai sufficiente.

Ma simili partecipanti al campionato nazionale di menefreghismo temo siano sparsi in molte facoltà universitarie.
Basterebbe leggere le cronache dei giornali o frequentare certi uffici per porsi la domanda "ma chi ti ha laureato?".

Eppure se è vero come è vero che la pubblica amministrazione ha bisogno di comunicatori professionisti e non di affabulatori, l'Università è la cruna dell'ago da cui si deve passare.

E allora guai a trasformare casi particolari in esempi generali. Perché accanto a pochi svogliati ho incontrato moltissimi giovani che chiedevano, invece, di essere aiutati a capire. Ed è da qui che va affrontato il problema.

Il problema non è tanto "sudare" di più sulle carte ma conoscere dove sono le carte e come si consultano. Un grande filosofo francese diceva non occorre leggere tutti i libri ma è necessario sapere dove sono.

Senza aver la pretesa di avviare una riforma casereccia degli studi universitari è evidente che temi troppo trascurati siano quelli sull'uso delle fonti e sui metodi di ricerca.

Credo importante per i futuri comunicatori conoscere non solo il significato di certe sigle (Censis, Istat, Google) ma anche poterli utilizzare come strumenti di lavoro.

Non sarà un caso che le sterminate banche dati dell'Unione Europea nella stragrande maggioranza non prevedano l'uso della lingua italiana.

Così si riduce la capacità dei nostri giovani di accedere a fonti primarie e a materiali strategici e li si costringe a fare della comunicazione una disciplina a metà tra la letteratura e la giurisprudenza.
Ma noi abbiamo bisogno di ben altro.

Come evitare allora il pericolo di issare il solito vessillo della denuncia fine a sé stessa?
Una proposta concreta mi sento di farla all'Associazione Italiana della Comunicazione Pubblica e Istituzionale: nei corsi in fase di avviamento, perché non introdurre una giornata sulla metodologia della ricerca?
E se qualcuno ci copierà noi saremo i primi a congratularci.