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In occasione del convegno "Digital Learning. Scuola, apprendimento e tecnologie didattiche", è stata presentata una ricerca dell'Università di Milano Bicocca sul cyberbullismo. La ricerca è stata realizzata dal Centro QUA_SI/Universiscuola.

L'obiettivo della ricerca è di poter valutare non solo la diffusione degli episodi di cyberbullismo, ma anche di conoscere quale rappresentazione i ragazzi hanno del fenomeno, delle differenze nella netiquette adottata, del peso che gli eventuali attacchi subiti hanno avuto nella loro esperienza personale, della distanza tra quanto i ragazzi ritengono lecito fare in Internet o con il cellulare e ciò che viene considerato illecito per la legislazione nazionale.

Le tipologie di cyberbullismo maggiormente in uso risultano essere la diffusione di fotografie e video imbarazzanti, la creazione di "hate page", ed il furto di identità virtuale, usate per creare falsi profili sui social network o inviare messaggi compromettenti a nome della vittima. In Italia solo il 18% del campione dichiara di non aver mai subito episodi di aggressione virtuale negli ultimi sei mesi, il 37% è stato attaccato una/due volte, il 45% tre volte o più.

I ricercatori pongono particolare attenzione sul ruolo educativo di cui i genitori devono riappropriarsi anche in questo contesto perché, dicono, "i genitori riconoscono nei figli una "autorità" superiore in materia di computer e sono rassicurati dal fatto che i figli restino in casa. Invece l'esperienza di vita deve poter essere trasposta anche nel mondo virtuale e il genitore deve mantenere vivo l'interesse su quello che è un momento di socializzazione importante per i ragazzi. Non farsi rassicurare dai filtri imposti a priori all'hardware, ma chiarire il fatto che le regole di buona educazione e convivenza civile vanno estese anche alle relazioni in Internet è l'unica strategia per restituire un ruolo educativo ai genitori e per rendere più sicuri i ragazzi".


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