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Archivio newsletter - Associazione Italiana per la Comunicazione Pubblica e Istituzionale

Solidarietà e partenariato nella strategia di comunicazione dell'UE


Il ministro polacco per gli Affari europei Mikołaj Dowgielewicz, intervistato a qualche giorno dall’apertura di EuroPCom da “L’Eco delle Regioni”, sollecita una strategia di comunicazione rinnovata. E dice che, per frenare il costante calo di interesse nel progetto europeo, sono fondamentali un'accresciuta attenzione alla prossimità e l'uso degli strumenti di comunicazione interattivi esistentie futuri.

Quali lezioni possono trarre i responsabili europei della comunicazione con il pubblico da come la Polonia sta gestendo la crisi di fiducia che colpisce l'UE?
Mi dispiace doverla deludere, ma sarò onesto con lei: non esistono formule magiche per combattere la crisi di fiducia nei confronti dell'UE. Del resto, dal mio punto di vista posso dirle che in Polonia questa crisi non è avvertita come nei "vecchi" Stati membri, e questo per diverse ragioni che sono facilmente comprensibili, ma che tendiamo a dimenticare. Tra queste vi è il fatto che i polacchi percepiscono ancora i benefici derivanti dall'adesione. Noi beneficiamo ancora di cospicue dotazioni di bilancio UE, siano esse nel quadro della politica di coesione ovvero nell'ambito della PAC. Ecco spiegata una delle ragioni per cui la popolazione polacca sostiene con convinzione l'UE. Non possiamo però permetterci di riposare sugli allori, perché non sappiamo in che modo la crisi che attraversa l'Europa influirà sulla percezione dell'UE da parte dei cittadini polacchi.
Non posso quindi fare la parte di chi impartisce lezioni, visto che non so come la situazione si evolverà nel tempo. Credo semplicemente che, allo stato attuale, noi beneficiamo della solidarietà dell'UE. Solidarietà è quindi la parola da rilanciare nell'UE. Se riusciremo a farlo, saremo già a metà del cammino da percorrere per recuperare la fiducia.
Se vogliamo farcela, nel campo della comunicazione dobbiamo allora cercare di promuovere la solidarietà, e spiegare che la solidarietà non viene meno nel momento in cui non abbiamo più bisogno dei fondi europei. Seguono quindi la parità e il partenariato, che sono nozioni, concetti molto difficili da promuovere in tempi di crisi. La tendenza naturale sarebbe infatti quella di ripiegarsi su se stessi e smettere di lavorare sulla base di un rapporto tra pari, ed è un peccato. Io credo che i professionisti della comunicazione possano in questo caso svolgere un ruolo importante scegliendo parole esatte, nozioni giuste e un linguaggio equilibrato.

Quale potrebbe essere il ruolo degli enti locali e regionali nel comunicare l'Europa?
Gli enti locali e regionali svolgono un ruolo chiave per una semplice ragione: la vicinanza. Essi sono in grado di promuovere realizzazioni concrete che modificano la vita quotidiana dei nostri cittadini. È evidente che noi possiamo sempre adottare una strategia contraria, cercando di ridimensionare il ruolo svolto dall'Europa in un determinato settore; si tratta però di una strategia a breve termine. Gli enti locali devono mostrare la loro capacità di svolgere il ruolo di intermediari e di partner affidabili, illustrando ad esempio la loro funzione ai cittadini e ai partner istituzionali o privati. Se un comune o una regione riesce a comunicare con onestà e attivamente quel che è riuscita a compiere, è già a metà dell'opera. Gli enti territoriali devono dimostrare la loro capacità di concepire dei progetti, di negoziarli a livello locale, nazionale ed europeo, per poi condurli a buon fine. Se riescono a farlo, hanno già pronto il contenuto del messaggio da comunicare sia a un pubblico specializzato (istituzioni e partner) che al grande pubblico (media e cittadini). È così che consolidano la loro posizione e acquistano credibilità. Si tratta oltretutto di un lavoro a lungo termine.

Come accrescere l'interazione con i giovani, soprattutto nelle discussioni sulle politiche dell'UE?
Ritengo che si tratti di un compito molto difficile non solo a livello europeo, ma anche nell'ambito delle politiche locali e nazionali. Cerchiamo - tutti - di utilizzare gli strumenti più nuovi basati essenzialmente sul Web 2.0 e soprattutto i media sociali, che sono piattaforme di dialogo accolte da buona parte del pubblico più giovane. Il semplice fatto di essere presenti su queste piattaforme non significa però che siamo riusciti nel nostro scopo. Rispetto ai media cosiddetti tradizionali, esse hanno infatti bisogno di molto più tempo da parte nostra. Non si può infatti creare una pagina o un profilo e poi scomparire per giorni o settimane. Bisogna essere presenti e fidelizzare l'interlocutore. Infatti non ci troviamo, in questo caso, di fronte a un recettore passivo di informazioni. Chi utilizza i media sociali si aspetta risposte rapide e un'interazione. Se anche i giovani non si mostrano interessati a un argomento per un lungo periodo, sono poi capaci di impegnarsi in una discussione non appena l'attualità li stimola a farlo. E questi media e scambi virtuali danno a volte vita a movimenti assolutamente reali, come ci dimostrano gli esempi recentissimi della piazza Tahrir o di Madrid - con il cosiddetto movimento degli indignati. Noi dobbiamo reagire alla stessa velocità dei giovani e fornire risposte concrete. Io credo che per i più giovani dobbiamo non soltanto essere presenti su questi media, ma anche parlare degli argomenti che più li interessano. In questo caso l'UE ci offre tante possibilità: la mobilità degli studenti, il riconoscimento dei diplomi, i programmi per la ricerca e l'innovazione e le iniziative legate agli stessi strumenti di comunicazione, come il roaming o le tecnologie a bordo dei veicoli.

Alla luce della sua passata esperienza di comunicatore per l'UE e nella sua attuale veste di personaggio di spicco sulla scena politica di uno Stato membro, come dovrebbe a suo avviso svilupparsi, nel prossimo futuro, la comunicazione delle istituzioni dell'UE?
Attualmente assistiamo a due tendenze diverse. Da un lato un calo d'interesse da parte del grande pubblico per le questioni europee, dall'altro una professionalizzazione di tali questioni e una maggiore specializzazione.
Per far fronte al primo problema, dobbiamo porre l'accento sulle realizzazioni concrete, che sono vicine alle istanze dei nostri cittadini, specialmente in un periodo di crisi. Solo dopo si può costruire una comunità sugli ideali più alti, più generali.
La seconda tendenza esige da parte nostra una buona analisi degli interlocutori e di coloro che trasmettono i messaggi che vogliamo diffondere. La presenza di tanti organismi, uffici e consiglieri specializzati nelle questioni europee non ci permette di diffondere il medesimo messaggio a tutti. Da qui nasce la necessità di un'analisi precisa dei nostri destinatari e di una maggiore flessibilità.
Il tutto va poi condotto in uno spirito diverso. Le istituzioni devono utilizzare al meglio il Web 2.0, prendere in considerazione il suo successore, visto che il 2.0 sembrerebbe già superato, ma questo argomento lo lascio agli specialisti. Da parte nostra possiamo solo fare del nostro meglio e non dimenticare mai che comunicare non significa semplicemente diffondere "la buona parola", ma soprattutto impegnarsi in uno scambio, tanto più oggi che esiste una comunicazione multipolare basata su Internet e i media sociali. È evidente che occorrono anche un cambiamento di mentalità e un forte decentramento dei comunicatori nelle istituzioni. Una sola persona non può infatti accentrare tutti i messaggi e tutte le piattaforme.



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