Partire da Platone e su quanto scriveva nel dialogo Repubblica ci può essere utile per iniziare. Il filosofo greco affermava che "è compito dei sapienti costringere le migliori nature umane ad accostarsi a quella disciplina che abbiamo definito massima, vedere il bene e fare quell'ascesa. E quando sono salite e hanno visto pienamente non dobbiamo permettere loro ciò che si permette ora, cioè rimanere colà senza voler ridiscendere e partecipare alle pratiche e agli onori del loro mondo".
Oggi che il ministro
della Funzione Pubblica Brunetta sostiene che "andrà avanti" chi merita, sembra quasi che si ripercorra quel tracciato: un amministratore disinteressato capisce cosa è il bene e si pone al servizio della Stato.
Come chi lavora per la Pubblica Amministrazione, che sa di svolgere un ruolo per cui è pagato da tutti noi cittadini.
Basta rivisitare un altro piccolo contributo di Platone per adattarlo ai nostri tempi e trarre le conclusioni: "Lo Stato in cui chi deve governare non ne ha il minimo desiderio è per forza amministrato
bene, mentre quelli in cui i governanti sono di tipo opposto è amministrato in modo opposto".
Proviamo a pensare a un'Italia dove chi governa si mette al servizio, in cui i leader sono pronti a fare la loro parte soltanto perchè sono arrivati lì per meriti e quindi promuovono chi ha più meriti. Non ci sono più raccomandati, chi è figlio di...
Per dirla con Veltroni: "un'Italia in cui tutti possono avere la possibilità di salire sull'ascensore sociale". Già una società
in cui le "caste" comandano poco e i figli dei rappresentanti di queste "caste" devono guadagnarsi un loro ruolo sociale.
Come spiega bene James G. March ci sono vari aspetti prima di prendere qualunque decisione da parte di chi sta a capo di qualcosa: le alternative, le aspettative, le preferenze, la regola decisionale.
Tutte queste componenti servono a creare delle logiche decisionali pure, lontane da forme di clientela, dai favoritismi a cui noi italiani siamo abituati.
Vorremmo una società diversa, "un paese
normale" come ha ripetuto più volte D'Alema.
Vorremmo avere la "speranza", che è il grande motivo trainante della campagna di Barack Obama in America e che lo è stato dei Kennedy.
Sì, la speranza di un mondo migliore dove chi è più bravo si fa avanti. E invece, tutti i giorni, assistiamo a selezioni discutibili, a misteri inspiegabili, a piccole e grandi contraddizioni, a scandali che sembrano infiniti e che durano lo spazio di due edizioni dei giornali e di quattro telegiornali.
Vediamo personaggi
senza meriti e senza storia che impazzano in televisione perchè fanno ascolto. E noi non reagiamo. Perchè il nostro motto è "tanto l'Italia va così". Persino quando impattiamo con la potentissima burocrazia subentra in noi la rassegnazione.
E ripensiamo a Max Weber che definiva il potere della burocrazia acefalo perchè non ha dentro di sé le direttive supreme ma prende ordini dalla politica che guida le scelte generali del Paese.
Secondo Weber la burocrazia "è sempre un apparato al servizio
di un potere politico".
Come a dire che dietro a chi ci fa riempire carte su carte o moduli su moduli, non sempre vi è il merito di qualcuno che ha affidato tale compito a quel dirigente o a quel funzionario, ma un politico che lo ha promosso fors'anche consapevole che l'unico merito del dirigente/funzionario è stato quello di essere fedele al partito, al progetto politico, a chi ha vinto le elezioni.
E allora dovremmo scoprire con quale merito si vincono le elezioni, si ottengono le maggioranze. Perchè gli italiani votano un partito o uno schieramento
anziché un altro.
E capire quale è il merito per cui stabiliamo chi deve governare e chi deve stare all'opposizione.
Noi protagonisti di una scelta anche quando ci sentiamo piccoli piccoli.
Sì, perchè, come giustamente scrive nel suo ultimo libro Gherardo Colombo :"in uno schema verticale di organizzazione della società esiste un indice sintomatico della sintonia che ciascuno ha con l'evoluzione della specie, il livello occupato nella gerarchia sociale. Quanto più l'individuo è
in alto, quanto è più ricco, potente, famoso, influente, tanto egli è il prodotto dello sviluppo della specie ed è più funzionale per lo sviluppo ulteriore".
In questo schema non c'entra la meritocrazia anzi. Era quello che pensava Hitler: "le scimmie eliminano l'estraneo come non appartenente alla comunità. E se ciò vale per le scimmie, dovrebbe valere tanto più per gli uomini" (Hitlers Tischgesprache).
E allora forse per arrivare ad una società in cui i piccoli e
i grandi meriti contano dobbiamo pensare di raggiungere quella che sempre l'ex pm di Mani Pulite chiama consapevolezza di sé.
Significa lavorare ogni giorno della nostra vita per una "società orizzontale che presuppone il riconoscimento e il rispetto del valore e della dignità propri, oltre che degli altri. Ciò implica la consapevolezza di poter essere artefici di una nuova società".
Se ognuno di noi s'impegnasse avremmo nuove regole, nuovi sistemi e più meritocrazia.
Più "speranza",
come dice Obama richiamando un famoso predicatore giorgiano: "mentre camminiamo dobbiamo impegnarci a guardare sempre avanti senza mai tornare indietro". Questa è la strada per una vera Meritocrazia. Il resto è show. Utile a guadagnare voti, ma che blocca l'ascensore sociale. E non sempre per colpa delle maggioranze, ma anche delle opposizioni.
Perchè a seconda di dove ci si trova si diventa "benaltristi". Nel senso che ci si diverte a dire che "ci vuole ben altro". Ma nessuno fa passi in avanti, anzi preferisce
farne tre indietro.
Francesco
Pira
Tutti pazzi per la meritocrazia
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